Nel 1907 il marchese Raffaele Cappelli, deputato e senatore del Regno d’Italia, voleva mettere alla prova la sua Ausonia. Non un’auto qualsiasi, ma una nuova vettura elettrica. Lo fece non solo sulle “erte” della Capitale. Si spinse fuori porta. Con sei persone a bordo lanciò l’auto elettrica “a buona velocità senza mai essere rifornita di elettricità” sulla salita da Roma a Frascati. Quindi si avventurò verso Grottaferrata e Marino su una strada “da poco inghiaiata”, per affrontare infine “l’altra ertissima salita” fino ad Albano.
Andare a elettricità oltre 110 anni fa
Ritornato a Roma, il marchese Cappelli constatava che la sua Ausonia a trazione elettrica aveva percorso 62 chilometri. Ben 22 in più di quanto promesso dal contratto. E aveva ancora energia sufficiente a compiere altre visite in giro per la città. «Debbo dire – concludeva in una lettera sul “Corriere della Sera” del 4 aprile – che non credevo possibile, con automobili elettrici, potesse oggi ottenersi tanto». Quell’oggi, benché ci possa apparir strano, risale a oltre 110 anni fa. All’epoca non esisteva solo la tecnologia elettrica. Nel 1900 Ferdinand Porsche aveva lanciato la prima vettura elettrica a quattro ruote motrici all’Esposizione Mondiale di Parigi. Poi aveva progettato e realizzato la Semper vivus. «In quest’auto due generatori accoppiati a motori a benzina formarono un gruppo elettrogeno che alimentava di corrente elettrica sia i motori nei mozzi delle ruote sia le batterie», raccontano al Museo Porsche (sulla tecnica vedi anche qui). Insomma, secondo la casa di Stoccarda, la prima full hybrid della storia.
L’auto elettrica (e l’ibrida) che c’era già
Siamo spesso convinti di vivere in un futuro che si è realizzato solo ora. La stessa distorsione del “senno di poi” che fa apparire profezie o opera di viaggiatori del tempo scoperte e annunci come quelli degli anni ‘60 raccontati in “Il futuro è sempre esistito”. E lo scoprire che le auto ibride e quelle elettriche non appartengono solo al nostro immediato presente può lasciarci, ancora una volta, disorientati. Nel periodo tra il 1900 il 1905 Porsche riuscì a vendere solo 11 automobili ibride. Il prezzo di vendita della Lohner-Porsche “Mixte” – evoluzione commerciale della Semper Vivus – era a seconda della carrozzeria e dell’allestimento tra 14.400 e 34.028 corone, talora quasi il doppio del costo di altre vetture con motore solo termico. L’Ausonia elettrica del marchese Cappelli, invece, non era in Italia del tutto un prodotto insolito agli inizi del secolo scorso. A produrla una fabbrica di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano: la “Società Anonima Camona Giussani Turrinelli” (1906) che aveva le radici nella “Società Italiana Vetture Elettriche Turrinelli & C.” (fondata nel 1899).
In Garfagnana la prima auto italiana a elettricità
La prima vettura elettrica di cui si ha notizia in Italia mosse però le ruote a Castelnuovo Garfagnana, in Toscana. A realizzarla tra il 1890 e il 1891 l’ingegner Francesco Boggio per volontà del conte Giuseppe Carli. L’invenzione dell’automobile elettrica – per la verità poco più che una carrozza a motore – era precedente di una decina di anni per mano di Charles Jeauntaud a Parigi. Le auto elettriche a cavallo tra i due secoli furono utilizzate come omnibus per alberghi (a Roma, Come, Varese e in altre città), come taxi e come mezzi commerciali.
Dora, una vettura per città e per dame
Allora, come oggi, si poneva grande attenzione alla silenziosità, rispetto al rumore infernale dei motori a scoppio, e all’autonomia. Una “vettura per città e per dame” pubblicizzava la “fabbrica di automobili elettrici”, la “Dora” di Genova, con stabilimento ad Alpignano (Torino). Dotata di freno elettrico, era declamata come “la vettura più economica”. Un’altra produzione di auto elettriche era alle Officine Stigler di Milano. La “Società torinese automobili elettrici”, rappresentata a Milano dalla “Carrozzeria italiana”, presentava invece sempre nell’estate del 1907 un laudalet (auto decappotabile di lusso) su licenza della francese Kriéger (il motore termico alimentava le batterie, un po’ come la Porsche). Fare rifornimento elettrico nei garage di carica a Torino, Roma o Milano costava tre lire per 80 chilometri di autonomia. Fatti i conti della manutenzione e del consumo delle ruote a bassa velocità, chi la promosse concludeva che «la vetturetta elettrica viene così a rappresentare il ristema di locomozione più pratico e a maggior buon mercato».
La regina, l’arcivescovo e Gabriele D’Annunzio
Le vetture private a elettricità, nei primi anni del ‘900, erano spesso appannaggio di reali – se ne serviva ad esempio la regina Elena – di nobili e di alti prelati. Il 19 luglio 1903 “La Domenica del Corriere” dedicò una copertina di Achille Beltrame al “Progresso della Civiltà” rappresentato dalla visita pastorale a Trezzo dell’arcivescovo di Milano, il beato Andrea Carlo Ferrari, a bordo di un’auto elettrica in un percorso che toccando altre località arrivò a 90 chilometri. Lo stesso Gabriele D’Annunzio fu protagonista a Firenze, nella notte del 13 giugno 1907, di un serio incidente insieme al conte Larderel e le figlie. Rischiò infatti di finire in Arno a piazzale della Regina per la rottura dello sterzo dell’auto elettrica del conte Strozzi.
L’auto elettrica è autarchica
La popolarità del motore elettrico fu associata, durante il Fascismo, all’autarchia. Si ha notizia che a Mogadiscio, in Somalia, il 1 gennaio 1940 a un concorso per mezzi autarchici tra i 500 veicoli furono presentate un’auto a gassogeno, una ad acetilene e una elettrica. Ma a colpire è soprattutto un filmato del “Giornale Luce” del 31 luglio 1941 “Vettura autarchica. Una vettura utilitaria ad accumulatori di tipo assolutamente nuovo, per due persone”. Realizzata dall’azienda elettrica del Governatorato di Roma era costruita in tubi di acciaio con tecnica aeronautica. Era accreditata di un’autonomia di circa 100 chilometri in piano. Raggiungeva i 40 orari.